Un leader: il tempismo di dire no

Recentemente ho letto “Breve storia dell’economia”di Niall Kishtainy e ho trovato particolarmente interessante come la nostra concezione di concetti come economicità e azienda sia di fatto un costrutto sociale molto recente.

È stato così che ho scoperto la figura Peter Druker e il suo lavoro sulla definizione di equilibrio tra vincoli e obiettivi all’interno del concetto moderno di azienda, che mette al centro il manager e i suoi collaboratori.

Quello che mi piacerebbe fare oggi è una riflessione su come l’idea di tempismo dell’economista austriaco sia ancora molto attuale se pensiamo alle influenze che le neuroscienze stanno avendo sul management consulting.

Druker affermava sostanzialmente che un buon manager ha il compito di definire delle priorità che a loro volta devono essere suddivise in sotto-obiettivi e implementate grazie a momenti di incontro tra i collaboratori di tutti i livelli aziendali. Definiva questa implementazione strategica come una democrazia competitiva che necessitava di un knowledge worker: un collaboratore che avesse le conoscenze sufficienti per comprendere quali fossero le priorità, la figura che oggi è universalmente riconosciuta come manager.

Prendere le decisioni era però un’ attività, secondo Druker, figlia del tempismo e della lettura dei tempi in cui l’azienda operava: da un lato il tempo di sviluppo interno e di lancio di un prodotto e dall’altro la velocità che la tecnologia del momento da alle lancette dell’orologio.

Il tempo risulta dunque essere una risorsa scarsa e uno dei modi più efficienti che hanno i manager per “guadagnarlo” è quello di saper dire no.

Cognitivamente parlando percepiamo il Sì come il contrario del No, ma in realtà se dire No implica rinunciare ad una cosa soltanto, quella che si nega per l’appunto, il suo contrario implica ipotecare quel lasso di tempo per una cosa sola e di riflesso negare un’infinita possibilità di opzioni: dire sì è di fatto molto più limitante che il suo opposto.

Da un certo punto di vista imparare a dire no diventa l’azione più produttiva di tutte.

Imparare a farlo è qualcosa che si può allenare grazie all’intelligenza emotiva e diventa una caratteristica peculiare del buon leader. Vi sono diversi motivi per cui è difficile farlo soprattutto all’inizio e i principali riguardano questi tre aspetti:

  • Si crede di non avere abbastanza successo o che negarsi implichi non sapersi
    organizzare ed essere percepiti come incompetenti
  • L’essere animali sociali ci spinge ad accettare invece di rifiutare le proposte per paura
    di essere esclusi dal gruppo o dalla comunità a cui apparteniamo
  • Non fa parte dell’educazione dell’infanzia di molti essere stati abituati e spinti a
    battersi per se stessi e a difendere i propri bisogni

È un cambio radicale di abitudine per molti quello di imparare a dire no, ma che implica la possibilità di mettere in prospettiva, di ricaricare e riposare il cervello in modo da renderlo più reattivo agli stimoli e alla capacità di raggiungere gli obiettivi.


Infatti, all’aumentare del successo di un manager aumenta anche il costo opportunità del proprio tempo.
Le neuroscienze applicate al management ci insegnano che è possibile negarsi in modo gentile e costruttivo offrendo alternative e facendo percepire una genuina gratitudine per essere stati presi in considerazione.

Le riflessioni sul tempo, il tempismo e la capacità di dire no aprono a molte riflessioni sul tema della produttività e dell’efficienza e sull’influenza che queste hanno all’interno di una organizzazione.

La tendenza ad essere iper-produttivi e a dimostrare una performance sempre superiore agli altri alla lunga può avere degli effetti negativi su quello che sono gli obiettivi aziendali e l’etica dei suoi collaboratori, riversandosi di riflesso sulla sua reputazione.

A questo proposito vorrei concludere questa riflessione con una citazione di Peter Druker:

“ Non vi è niente di così inutile come fare efficacemente qualcosa che non dovrebbe essere svolto affatto”.

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